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NEL MONDO DELLE ECCELLENZE ITALIANE.

albo d'oro

Giusy

Versace

Atleta paralimpica, conduttrice televisiva e politica italiana
2011: fonda l'associazione Disabili No Limits Onlus
2019: ricevuto il premio 'Fair Play della politica'
11 titoli italiani vinti su varie distanze
2021: nominata nuovo responsabile del dipartimento Sport, Disabilità e Pari Opportunità di Forza Italia

capitoli

Le passioni di una bambina

Sono nata a Reggio a Calabria nel 1977. Da piccola non avevo grandi sogni, ma coltivavo delle passioni. Avrei voluto fare il pilota oppure la designer. Da bambina, infatti, amavo molto disegnare.

Sono sempre stata, sin da bambina, un soggetto adrenalinico e in movimento, quindi poco è cambiato. Anzi, crescendo, ho amplificato le attività. Non ho mai sognato di fare la stilista – come i famosi cugini di mio padre, con cui condivido il cognome – perché ho sempre riconosciuto di non avere un animo particolarmente creativo.

Di genio, in famiglia, ce n’era uno, e si chiamava Gianni: è bastato quello.

 

La famiglia nel cuore

Sono stata una bimba e un’adolescente un po’ anomala, forse perché cresciuta con i genitori separati in un periodo storico in cui non si separava nessuno.

In casa si sbattevano porte e volavano ciabatte durante i litigi, ma la realtà è che ci volevamo un bene dell’anima. E io, poi, nel carattere ero troppo simile a mio padre perché questo non ci portasse allo scontro: si sa, due poli uguali si respingono ed entrambi ne eravamo consapevoli.

I rapporti con mia madre non erano troppo dissimili da quelli con mio padre; tra alti e bassi, come accade sempre quando si è adolescenti.

Il soggiorno all'estero

Finito il Liceo linguistico, mi sono iscritta a giurisprudenza e ho fatto solo un anno.

Ma ho sempre avuto un carattere ribelle: così non ho continuato l’università e sono andata a Londra, un po’ per capriccio e un po’ per dispetto nei confronti di mio padre, con cui avevo litigato.

 Per mantenermi ho fatto i lavori più umili per dimostrare a mio padre di potercela fare da sola. Era una sfida che dovevo vincere. E ce l’ho fatta. Poi, dopo due anni all’estero, ho deciso di rientrare in Italia.

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london tower bridge Eccellenze Italiane

Il ritorno in Italia

Nel Regno Unito lavoravo già nel campo della moda per una grossa agenzia di rappresentanza: il lavoro mi appassionava ed ero brava.

Così, senza crederci troppo, ho mandato dei curricula a Milano, città capitale della moda e nella quale viveva un mio amico.

Ho trovato subito un’occupazione, ma la gavetta è stata abbastanza impegnativa. Portavo un cognome ingombrante, quindi questo non mi agevolava: non è stato facile.

L'incidente

Quando ho avuto l’incidente, il 22 agosto del 2005, e ho perso entrambe le gambe, pensavano tutti che mi sarei un po’ fermata, invece no: è stato anche peggio. Di quel giorno, come ho scritto nella mia autobiografia “Con la testa e con il cuore si va ovunque. La storia della mia nuova vita”, ricordo ogni istante. Avevo 28 anni e non mi mancava nulla: una bella famiglia, tanti amici, un ottimo lavoro e un fidanzato, Sacha, da oltre 10 anni.

Davvero ricordo tutto: l’incubo notturno, i cattivi auspici con cui la giornata era partita, l’inquietudine di mia madre per questo viaggio che avrei dovuto affrontare, le telefonate, le sensazioni, anche la preoccupazione per quella pioggia battente.

 

Ero sull’A3, la Salerno-Reggio Calabria, e guidavo per raggiungere un cliente che aveva bisogno di me: avrei dovuto incontrarlo quel giorno a Salerno, città in cui doveva aprire la sua boutique a settembre. Avevo noleggiato un’auto per andare in Campania da Reggio Calabria, dove mi trovavo per le mie vacanze.

 

All’uscita di una galleria all’improvviso il tempo cambiò e iniziò a piovere a dirotto. L’asfalto bagnato mi tradì, anche se, da provetta guidatrice quale ero, quando si verificò l’aquaplaning, ricordai quello che mi aveva raccomandato sempre mio padre: non dovevo frenare. Mantenni il controllo in modo da evitare di coinvolgere altri veicoli, ma non riuscii a evitare l’impatto con il guard rail.

Questo, cedendo, si aprì e si trasformò in una lama che sfondò l’abitacolo della macchina,  tranciandomi le gambe rimaste intrappolate sotto il volante e il guard rail stesso.

Nel tentativo di spostarmi, guardai incredula sotto il volante e vidi lembi di muscolo aperti. Non sapevo che le gambe fossero strappate, ma vedevo la carne tremante all’altezza del ginocchio: una scena terribile, con sangue dappertutto.

Mi lanciai fuori dall’auto con uno sforzo immane, facendo appello alle poche forse che mi rimanevano e pregai dicendo un ‘Ave Maria che non riuscii a concludere perché ogni volta mi sfuggivano la parole.

Il mio rosario

Sono sempre stata una persona di fede. Porto un rosario, in questo anello che ho sempre con me; ormai è così consumato che non ha più protuberanze, sembra quasi una fedina.

Ricordo che, quando mi hanno portato in sala operatoria, me l’hanno tolto. Al risveglio dal coma, il primo gesto che ho fatto è stato cercarlo.

 

Quando ho aperto gli occhi, nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Cosenza, davanti a me c’era un’infermiera. Ho subito guardato dove una volta c’erano le mie gambe, che io non avevo più al di sotto delle ginocchia, e sentivo un male terribile: si trattava dei tipici dolori degli arti fantasma. Dei quali io, a quel tempo, non sapevo nulla.

Le strategie per affrontare le difficoltà

Proprio allora, quando ho rischiato di perdere la vita, ho scoperto di avere una grande voglia di vivere.

Certo tutto mi sarei aspettata tranne quello che poi è accaduto: nessuno è mai pronto a perdere un pezzo di sé. Non siamo mai pronti: siamo umani. Ma penso che per ogni cosa ci sia un perché. E la mia fede mi aiuta non solo ad accettare ma a essere grata, nonostante tutto, cercando di fare bene.

Ho avuto intanto la fortuna di avere accanto delle persone eccezionali, in primis quelle della mia famiglia, che ci hanno creduto ancora prima di me; poi ho sempre avuto questo carattere solare, positivo, determinato, combattivo e me lo sono poi ritrovato nel momento del bisogno. È stata una sfida difficile, ma difficile non vuol dire impossibile. Devi metterci molta voglia di combattere, molta determinazione, molta pazienza.

E se non avessi avuto questo atteggiamento probabilmente quel 22 agosto del 2005 sarei rimasta lì ferma, come un fotogramma su un’autostrada dove ho lasciato le mie gambe.

La vita è, per usare una metafora sportiva, un po’ come una pista d’atletica: come quando devi prepararti per i 400 ostacoli, tu devi continuare a correre, saltare, correre, saltare; poi cadi, ti rialzi, corri, salti, cadi e ti rialzi. È un allenamento costante.

Ma, mi dico sempre, che se non avessi perso le gambe probabilmente ci avrei messo molto più tempo, forse un’intera vita, a imparare tutte le cose che ho imparato.

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Screenshot 2024 09 04 alle 12.23.50 Eccellenze Italiane
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Una grande squadra

Uscita dal’ospedale, ho avuto accanto un grande team: zii, cugini, amici e perfino i miei genitori, pur divorziati da tanti anni. Ci sono voluti due anni interi prima che potessi tornare a camminare senza l’ausilio di stampelle o della sedia a rotelle. Ho scoperto di essere estremamente caparbia e determinata, qualità che non sapevo di avere.

La mia forza è venuta anche dal supporto dei miei cari.

 Poi il dramma delle protesi: volevo imparare a camminare di nuovo, ma non sapevo ancora usare le protesi; ci mettevo un quarto d’ora per indossarle e alzarmi, mentre ora ci impiego 15 secondi.

Ogni piccola conquista, ogni passo, ogni traguardo, ogni bicchiere d’acqua che riuscivo a prendere da sola, era un sorriso che regalavo a tutti quelli che mi erano stati vicino. Ogni progresso era un piccolo miracolo, frutto di uno sforzo collettivo e di un’ostinazione incrollabile

La Famiglia e gli amici di Giusy Versace

La grande avventura nell'atletica

Nel 2010 sono stata la prima atleta in Italia a correre con un’amputazione bilaterale. Questo è un record di cui sono molto orgogliosa. Devo essere sincera, prima dell’incidente ero una sportiva come tanti, non un’atleta. Poi ho scoperto che potevo correre.

Non avevo previsto di diventare una campionessa o di suscitare tanto interesse mediatico. Ma l’esempio di Pistorius e il fatto che fossi la prima italiana a correre con due gambe finte, insieme al mio cognome, erano ingredienti perfetti per i titoli dei giornali.

Ho capito che quello che facevo o dicevo aveva delle conseguenze sulla vita degli altri. E così, ho iniziato a vedere il mio percorso in un’altra luce: se fai qualcosa di buono e lo condividi con gli altri, ha un valore ancora maggiore.

Ho capito che dovevo dare un senso alle mie nuove abilità.

L’atletica mi ha permesso di entrare in un nuovo mondo, di scoprire nuove storie e di fondare una ONLUS, Disabili No Limits, per aiutare altri a ottenere le stesse opportunità che ho avuto io.

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giusy copia.jpg Eccellenze Italiane

Le ultime riflessioni

Quando mi sono risvegliata dopo l’intervento, non mi sono sentita arrabbiata: ho provato un profondissimo senso di gratitudine per la vita che avevo ancora.

Ho raggiunto obiettivi inimmaginabili, che nessuno avrebbe potuto preventivare.

Ho vinto “Ballando con le stelle”, ho fatto teatro e tanta televisione.

Ora da parlamentare al mio secondo mandato mi impegno a favore dei disabili e, al tempo stesso, lavoro per l’Associazione che ho fondato nel 2011.

Di recente mio padre mi ha rivolto una frase che mi ha riempita di orgoglio: “Una volta tu eri la figlia di Versace. Adesso io sono diventato il papà di Giusy Versace”.

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Giusy Versace - Ballando Con le stelle

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