Il primo amore non si scorda mai
La Puglia ce l’ho nel sangue, come il mio mestiere di avvocato matrimonialista. Provengo da una famiglia di giuristi pugliesi: mia madre, di Monopoli, era avvocato, mio padre, di Lecce, magistrato. Anche se sono nata altrove, il legame con la mia terra d’origine rimane fortissimo: ho sempre nell’anima, nella testa e nel cuore le mie estati in Puglia.
Papà, giovanissimo, già pretore a Lecce, subito dopo il matrimonio fu trasferito a Perugia, dove sono nata il 23 aprile del 1948. Poi il trasferimento ad Alessano, vicino a Lecce, e subito dopo a Chiavenna, in Valtellina, verso la fine del ’48: io avevo 6 o 7 mesi. I miei genitori erano entrambi giovanissimi, 23 anni lei e 25 lui, quando si trasferirono dalla Puglia alla Valtellina, dove sono vissuta fino agli 8 anni.
Quando mio padre da Chiavenna fu mandato a Milano io sola sono andata con lui. Gli altri tre figli, i miei fratelli che nel frattempo erano nati, sono rimasti con mamma. Dormivo con papà in tribunale nella stanza dei magistrati. Poi, trovata la casa, arrivarono anche mia madre e i miei fratelli.
Il colleggio di Guastalla
A quel punto mio padre ci mise tutti in collegio. Non ce la faceva a mantenerci con il solo stipendio di magistrato, per cui ci fece fare degli esami per avere delle borse di studio, che ottenemmo. Io, l’unica femmina di 4 figli, entrai nel Collegio della Guastalla a Monza.
In collegio stavo benissimo, tranne che per il cibo. Tutte le punizioni che ho avuto le ho avute perché lasciavo qualcosa da mangiare. E io me ne intendevo, dal momento che cucinavo da quando avevo 6 anni: mi aveva insegnato mio padre, che sapeva cucinare molto bene. Infatti mamma insegnava prima di fare l’avvocato, quindi non arrivando a casa in tempo ero io a dover fare da mangiare ai miei fratelli.
Nel ’62 mio padre si dimise dalla magistratura, perché iniziava a politicizzarsi, cosa, questa, che per lui rappresentava qualcosa di molto negativo – a suo parerei magistrati dovevano essere apolitici -. Iniziò così a lavorare come avvocato insieme a mia madre, che intanto da due anni aveva aperto il suo studio.
Un padre come mentore
Mio padre, che era un uomo bellissimo e intelligentissimo, è stato il mio vero mentore. Lui mi ha spiegato tutto. Conservo una foto di quando avevo tre anni che per me è il simbolo della via vita. Mio padre, dietro di me, imponente, che mi tiene le braccia e mi spinge verso il mondo”. Lui è mancato quando avevo 35 anni.
Oggi, che ne ho il doppio, continuo a sentirlo dietro di me con il suo sorriso, la sua forza, la sua autorevolezza. Anche la mia ribellione, lui l’amava. Mi diceva “Ricorda che l’unico valore per il quale bisogna combattere nella vita è la libertà. Io ti apprezzo perché il tuo senso di libertà ti porta a essere ribelle”. La libertà per me è sacra.
È forse per questo che ho combattuto tante battaglie: quella per il divorzio, quella per l’aborto, pure essendo antiabortista sin nel profondo della mia anima…
La passione per la scrittura
Fin dai tempi delle medie ho avuto la mania di scrivere; in collegio avevo fondato un giornale, che si chiamava “La zattera”. Questa passione continuò anche al Liceo. Lasciate le medie, e il collegio, ho frequentato il Liceo Parini, dove iniziai a scrivere per il giornale “La zanzara”.
Il caso volle che scrivessi un articolo sull’omosessualità, che mi ero fatta spiegare da papà – allora l’argomento era assolutamente tabù. L’articolo, nel quale, ovviamente, non facevo il nome del mio amico, fu rifiutato. Dagli insegnanti al preside, tutti cercavano scuse perché di certe cose non bisognava parlare e perciò per protesta lasciai il liceo Parini, che era stato scelto per me scelto per me perché era il migliore di Milano. Andai poi al Vittoria Colonna, dal momento che era molto vicino a casa.
Oggi, che ne ho il doppio, continuo a sentirlo dietro di me con il suo sorriso, la sua forza, la sua autorevolezza. Anche la mia ribellione, lui l’amava. Mi diceva “Ricorda che l’unico valore per il quale bisogna combattere nella vita è la libertà. Io ti apprezzo perché il tuo senso di libertà ti porta a essere ribelle”. La libertà per me è sacra.
È forse per questo che ho combattuto tante battaglie: quella per il divorzio, quella per l’aborto, pure essendo antiabortista sin nel profondo della mia anima…
Il primo bacio
Il mio primo bacio l’ho dato a quindici anni, in una serata magica carica di emozioni. Un momento fugace, un contatto improvviso che sembrava promettere l’inizio di qualcosa di speciale. Ma il giorno dopo, lui sparì nel nulla.
Ma il mio primo vero amore arrivò l’anno successivo. Era pugliese e il sentimento che provavo per lui era completamente diverso, più profondo, più sincero. Oggi, a distanza di quasi cinquant’anni, siamo ancora legatissimi, ed è qualcosa di davvero incredibile.
Il nostro amore – che durò dai sedici ai diciotto anni – era del tutto platonico, com’era normale a quei tempi per una sedicenne. Quando lui mi tradì, lo lasciai subito. Non ci vedemmo per tre anni. Nel frattempo, mi sposai. Poi, in modo sorprendente, diventammo amici.
Un matrimonio contro corrente
Sono sempre andata contro corrente: mentre i miei compagni facevano il ‘68, io mi innamorai del mio professore di diritto romano, Francesco Giordano, un fascista dichiarato, lo sposai ed ebbi due bimbe, Francesca e Chiara. Interruppi gli studi, perché facevo la mamma a tempo pieno.
Quando mi chiese di sposarlo, aggiungendo che avrei dovuto lasciare gli studi e il lavoro per dedicarmi solo alla famiglia, mi sentii davvero una regina.
Mi sposai nel 1970, a soli ventidue anni. Portavo con me una dote di sessanta milioni di lire e, in un atto di assoluta fiducia, optai per la comunione dei beni. Avevamo due figlie e, desiderando una casa più grande per la nostra famiglia, scoprii con sgomento che i nostri risparmi erano spariti. Mio marito aveva investito tutto in una scuderia di cavalli e trascorreva i mercoledì a scommettere, perdendo continuamente denaro.
Ero molto innamorata, ma la delusione fu così cocente che decisi di lasciarlo all’istante. Tuttavia, avevo le bambine da mantenere. Così, decisi di tornare all’università. Avevo abbandonato gli studi dopo cinque esami, ma mi rimisi in gioco. Mi laureai e poi divorziai, senza chiedere un soldo. Tra il 1976 e il 1978 sostenni diciotto esami, nonostante mio marito cercasse di farmi bocciare, chiamando i suoi colleghi per mettermi i bastoni tra le ruote.
Mi laureai nel 1978, a trent’anni, con due bambine, una di otto anni e una di sei, che furono le uniche a partecipare alla mia cerimonia di laurea. Ho fatto gli esami per la professione forense nell’82 e alla fine dell’83 mi sono separata.
Tempi difficili
Nel 1987, dopo essermi separata e aver divorziato, mi trovai in una situazione di povertà estrema. Dal 1983 al 1988 non andai mai dal parrucchiere e non comprai mai né un vestito né un paio di scarpe. Mi dedicavo esclusivamente alle mie figlie.
Non scelsi di diventare avvocato matrimonialista a causa del trauma del mio divorzio, ma piuttosto per una ferita dell’infanzia. Da bambina ero ribelle. Anche se mio padre era un fervente sostenitore della libertà, a tavola vigeva una regola ferrea: si doveva mangiare tutto ciò che c’era nel piatto, perché avere del cibo non era scontato. Io, però, detestavo i piselli. Dopo il quarto “non li voglio”, mio padre perse la pazienza e mi tirò uno schiaffo. Da quel momento è nata in me un’empatia profonda verso i bambini e la volontà di difenderli.
Nel mio lavoro di avvocato divorzista, la mia vera missione è proteggere i bambini. Non tollero che vengano usati come pedine nelle dispute dei genitori.
I primi passi nella professione e l’apertura del mio studio legale
All’inizio mi occupavo di contratti dei musicisti e di diritto d’autore.
Grazie a Caterina Caselli, che avevo conosciuto tramite un amico, ebbi l’opportunità di firmare un contratto di consulenza con la CGD, la Compagnia Generale del Disco, che all’epoca era una delle case discografiche più importanti. Fu così che cominciai a lavorare nel mondo della musica.
Ma la mia fortuna è stata che scrivevo per il giornale di Montanelli e lui mi disse: “Annamaria, presto nella famiglia entrerà la nuova variabile dell’innamoramento per un altro. Vedrai quante separazioni ci saranno! Lascia perdere gli artisti. Dovresti scrivere di separazioni e divorzi. Il lavoro di matrimonialista ti renderebbe di più”.
Fu, dunque, proprio in quel periodo, era il 1987, che iniziai ad interessarmi di Diritto di famiglia, trovando in quel campo un modo per aiutare le persone ad affrontare le nuove sfide che si profilavano nelle relazioni.
La carriera da avvocato matrimonialista
Dopo la morte di mio padre, decisi di aprire il mio studio legale, il primo in Italia composto interamente da donne. Anche ora seguo questa filosofia: ho sei studi, ma solo due uomini ci lavorano.
Uno dei primi casi importanti fu quello Sala/Chiesa. Mentre curavo di interessi di Laura Sala mi resi conto che nei documenti del marito, il manager Mario Chiesa – proprio lui, il “mariuolo isolato” di tangentopoli – c’era qualcosa di anomalo. Feci trasferire le carte alla Procura di Milano, dove mi convocò Antonio Di Pietro, all’inizio del ’92: così iniziò Mani Pulite. Non che il merito sia mio, ma, come pensava Di Pietro, avevo un certo intuito.
Da allora sono passati quasi trent’anni: dal mio studio sono passati circa 30.000 casi, i nomi più in vista dell’alta società italiana, attori, cantanti, imprenditori… Oggi sono considerata l’avvocato divorzista più famoso d’Italia. Alcuni mi rimproverano per le mie parcelle. Ma sono consapevole del mio lavoro e di quanto vale e, soprattutto, di quanto devono costare i miei collaboratori per fare il loro lavoro al meglio. Il mio studio legale ha cinque sedi: oltre a Milano, che è la sede principale, ci sono Bergamo, Roma, Padova e Ameglia, in Liguria.
Ho scritto per Il Giornale, La Voce, Il Sole 24 Ore, il Corriere della Sera, Libero e tanti altri quotidiani: scrivere rimane una delle mie passioni. Ho pubblicato anche diversi libri. Non mi interessa il “politicamente corretto” e mi piace raccontare del mio lavoro, senza peli sulla lingua. Come non proclamare a gran voce, ad esempio, che la famosa Legge Cirinnà rappresenta la grande ipocrisia dello Stato Italiano, da sempre in soggezione nei confronti del Vaticano? Mi auguro che sia modificata, aggiungendo anche le adozioni per le coppie gay.
Cosa ha fatto di me l’avvocato che sono oggi? Non mi sono mai adattata allo spirito dei colleghi: io scelgo i miei clienti e non m’importa di intrattenere buoni rapporti con i giudici. In quarant’anni l’ordine degli avvocati me ne ha fatte di tutti i colori.
Sono uno spirito libero: cosa, questa, che ho sempre pagato sulla mia pelle. Ma va bene così: in fondo, dove sta scritto che gli altri devono amarci?
A parte il mio lavoro, il centro della mia vita sono le mie figlie e i nipoti, di cui sono orgogliosissima. Non avrei mai detto che Francesca e Chiara sarebbero diventate delle madri così brave. I miei nipoti sono tutti educati, affettuosi, non sono dei rompiscatole…Ho trascorso con la mia famiglia il primo lockdown…non avevo mai vissuto con loro così da vicino. E il lavoro a distanza non è poi tanto male. In fondo è proprio vero: vedere il lato buono delle cose aiuta a vivere meglio e fa anche bene alla salute.